Pubblicato su politicadomani Num 86 - Dicembre 2008

Cinema
La Banda Baader Meinhof

Uli Edel rievoca in questo film la tragica storia dei fondatori della RAF (Rote Armee Fraktion), organizzazione terroristica di ispirazione marxista-leninista legata all'estrema sinistra più radicale tedesca, attiva dagli anni ’70 al 1993 e formalmente discioltasi nel 1998

di Vincenzo Spalice

Il cinema tedesco torna a fare i conti con il suo passato. Con il suo ultimo lavoro, “La banda Baader Meinhof”, il regista Uli Edel rievoca gli anni di piombo in Germania, e lo fa realizzando una pellicola dal ritmo serrato, che sfiora l’action movie, e scorre via veloce, nonostante la notevole durata.
Edel, noto soprattutto per il film del 1981 “Christiane F. - Noi i ragazzi dello zoo di Berlino”, torna a far parlare di sé con questo film che narra le vicende di Andreas Baader e Ulrike Meinhof, fondatori della RAF (Rote Armee Fraktion), gruppo terroristico nato con lo scopo di combattere una guerra contro ciò che essi percepiscono come la nuova faccia del fascismo: l’imperialismo americano sostenuto dalle istituzioni tedesche nelle quali ancora agiscono, con la violenza di sempre, uomini dal passato nazista. Ma la lotta politica degenera in terrore e sangue, e la repressione del governo della Germania occidentale negli anni settanta è durissima.
Stroncato dalla critica tedesca e amato dal pubblico che ne ha decretato il successo al botteghino, il film ha diviso anche la stampa al festival di Roma, generando sentimenti e opinioni contrastanti.
Si tratta di un’opera di autoriflessione che parte da uno dei momenti più bui e controversi della storia post-nazista tedesca. Nella Germania del 1968 la giovane giornalista progressista Ulrike Meinhof, affascinata dalla forza delle idee e dell’azione politica dei protagonisti delle contestazioni e delle rivolte di quei mesi, decide di unirsi al gruppo armato della RAF di Andreas Baader. La stampa tedesca li battezzerà “la banda Baader Meinhof”. Dalle prime azioni terroristiche, gli attentati, i rapimenti, l’omicidio del presidente della Confindustria tedesca, Hanns Martin Schleyer, alla vita in clandestinità, passando per l’addestramento militare nel deserto della Giordania, il film di Edel è un susseguirsi di eventi che narrano dall’interno della vita e dei protagonisti l’ascesa e la caduta del gruppo: i primi arresti, le uccisioni, lo smembramento della prima generazione di RAF. Per Baader, Meinhof ed altri arriverà il carcere.
E qui inizia un secondo film. Si cambia registro. Edel sceglie di raccontare la discesa agli inferi con un tocco più surreale. La disperazione della detenzione in isolamento è palpabile, una fotografia quasi onirica sottolinea ed enfatizza il deterioramento fisico e psichico dei detenuti. Il suicidio della Meinhof e le morti sospette degli altri, si alternano alle immagini dei processi e della lotta politica. Sono frammenti di una dilatazione temporale che avvolge lo spettatore.
Uno stellare Bruno Ganz, e le nuove promesse del cinema tedesco Moritz Bleibtreu e Martina Gedeck, interpretano personaggi intensi e disperati, protagonisti di una cronistoria senza eroi. La narrazione è imbevuta di un realismo maturo e mai di parte, qualità che fanno di questo film lo spaccato di un passato tedesco che fu, e che è bene ricordare, o quantomeno non dimenticare.      

 

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